La Pietra del Finale

Per quanto concerne, invece, le scoperte mineralogiche locali, ad Arturo Issel va anche il merito di aver reso celebre uno dei conglomerati più caratteristici del Finalese, di cui l’autore della Liguria geologica e preistorica accenna nel capitolo dedicato alla distribuzione topografica delle formazioni, per poi analizzarla nello specifico al secondo paragrafo inerente il sistema miocenico ligure:

“Sugli strati ripiegati e contorti della formazione triassica, nel Finalese, giace un deposito miocenico assai più regolare, quello della così detta pietra di Finale, che io ascrivo al piano elveziano. (…) La pietra di Finale costituisce una pila di grossi strati regolarissimi, adagiati sul dorso delle colline triassiche, con lieve inclinazione verso mezzogiorno (segno che anche dopo la sua formazione il sollevamento continuò ad esercitarsi con maggiore intensità a nord che a sud) e con sensibile pendenza della periferia del bacino miocenico verso il centro di esso. (…) La pietra di Finale tipica, quale si trova nelle cave superiori di Verezzi, è un calcare grossolano, cristallino, aspro al tatto, di color rossastro traente al bruno chiaro o al rosso. Il suo peso specifico, negli esemplari di media compattezza, è di circa 2,47; suol essere piuttosto tenace e, prescindendo dai minerali accessori che vi sono contenuti, la sua durezza si mostra uguale o superiore a quella degli altri calcari cristallini. Ha frattura granosa, ineguale; alitandovi sopra, emana odore terroso. Cogli acidi, fa lieve effervescenza e si scioglie solo in parte. Sotto la lente, o meglio al microscopio, presenta un aggregato di piccole concrezioni cristalline di calcite che lasciano tra loro vacui irti di cristalli ed accludono granuli di quarzo cristallino, di feldispati plagioclasi, laminette di mica e di talco, scagliette di clorite ed altri minerali, provenienti indubbiamente dalle rocce triassiche sottostanti. In altri esemplari si vedono acclusi in esso calcare, anche ad occhio nudo, frammenti di calcare dolomitico bigio, di quarzo, talcoscisto, cloritescisto, ecc. Si trovano in questa pietra denti di pesce fossili non rari.”

La Pietra di Finale, però, viene menzionata da Issel anche per via dell’impiego edilizio:

“Merita di fissare in particolar modo l’attenzione dei critici, come materiale decorativo e da costruzione, la così detta Pietra di Finale, adoperata in Liguria fin dai tempi remoti. I ponticelli gettati sul Rio di Ponci, massime il Ponte Sordo, attestano colla perfetta loro conservazione qual sia la resistenza agli agenti esterni e la durata di siffatto materiale. Alcuni edifici medioevali di Finalborgo e Finalpia sono pur costruiti colla medesima pietra e se ne son fabbricate nel Finalese alcune case coloniche, che sembrano assai antiche, ma di cui non saprei precisare l’età. Tanto in queste case quanto nei ponti romani le pietre son ridotte a piccoli parallelepipedi diligentemente scalpellati.”

Analogamente, tra le scoperte locali è opportuno citare la Pietra di Verezzi, la Pietra Ligure e la Pietra di Cisano, un conglomerato grigio-roseo che caratterizza il paesaggio collinare compreso tra i torrenti Neva ed Arroscia, servito per 200 anni come pietra da costruzione.

Un caso a parte, per via delle sue implicazioni archeologiche e paleografiche, è rappresentato dalla Pietra dell’Acquasanta, una rupe serpentinosa che fa parte di un complesso di rocce istoriate situato nel vallone del Rio Martino, presso Ceriale. Queste rocce continuano tutt’oggi a presentare difficoltà di datazione e interpretazione dei segni. Issel fu il primo a studiare e descrivere la Pietra dell’Acquasanta, notando – sempre grazie al suo inconsueto spirito di osservazione – l’analogia di alcuni segni con altri che ricorrono frequentemente sui monumenti megalitici (dolmen, cromlech e menhir) e attribuendo pertanto le incisioni “ai tempi protostorici o ai primordi dell’Età dei Metalli.”